Sulla questione del blocco degli incrementi per classi e scatti
nel quinquennio 2011-2015
Per esigenze di “contenimento della spesa pubblica”, l’art.9, comma 21, del decreto legge 31.05.2010, n.78, convertito con modifiche dalla legge 30.07.2010, n.122, ha stabilito, come noto, le seguenti misure di raffreddamento della dinamica retributiva del personale di cui all’art.3 del D.Lgs. n.165/2001:
- “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi”;
- “Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”;
- “Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”;
- “Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.
Le riportate disposizioni sono state poi prorogate: tutte fino al 31 dicembre 2014, dall’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n.111 e dall’art.1, comma 1, lettera a), del D.P.R. 4 settembre 2013, n.122; quelle sole di cui al primo ed al secondo periodo fino al 31 dicembre 2015, dall’articolo unico, comma 256, della legge 23 dicembre 2014 n.190.
Per quanto qui e ora, in particolare, interessa, l’art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010 ha determinato il “blocco” dell’ordinaria progressione economica per classi e scatti spettante al personale dirigente ed equiparato del Comparto Sicurezza e Difesa per e in relazione al periodo 1° gennaio 2011-31 dicembre 2015. Solo dal 1° gennaio 2016, ha ripreso ad operare per il suddetto personale l’ordinaria progressione stipendiale.
Ora, essendo il “blocco” previsto dall’art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010 temporaneo e di natura solo ed esclusivamente retributiva, il trattamento di fine servizio e il trattamento di quiescenza (provvisorio e/o definitivo) spettante al personale dirigente ed equiparato del Comparto Sicurezza e Difesa cessato dal servizio nel corso del quinquennio 2011-2015 avrebbero dovuto essere determinati tenendo conto anche degli incrementi retributivi, non percepiti in servizio per via appunto del “blocco”, ma ad esso dovuti, a fini di buonuscita e di pensione, per e in relazione anche al periodo di servizio prestato nel suddetto quinquennio.
Invece, l’Amministrazione della Difesa ha sinora operato il calcolo del trattamento di previdenza e di quiescenza (provvisorio o definitivo) del personale in questione sulla base della retribuzione “bloccata”, ossia sulla base della retribuzione congelata all’ultima classe o scatto maturati prima dell’inizio del “blocco”, ossia anteriormente al 1° gennaio 2011.
La situazione venuta a determinarsi era ed è talmente ingiusta, che le Commissioni Difesa di Camera e Senato, in sede di esame del provvedimento di c.d. riordino, sfociato poi nell’adozione del D.Lgs. 29.05.2017, n.94, hanno ritenuto necessario sollecitare il Governo ad attivarsi quanto prima per porre finalmente termine “all’iniqua penalizzazione” subita dal personale del Comparto Sicurezza e Difesa cessato dal servizio nel quinquennio del “blocco”, il quale, “se in detto arco temporale è stato promosso al grado superiore o comunque ha teoricamente maturato il diritto a benefici economici, se ne è visto negare non solo il riconoscimento in servizio, ma anche la valorizzazione ai fini del trattamento pensionistico e previdenziale, subendo, di fatto, un danno patrimoniale permanente in conseguenza di una misura che era destinata a produrre effetti solo temporanei”.
Ad oggi, tuttavia, i sollecitati interventi risolutivi non vi sono ancora stati e, anzi, la situazione del personale in questione è divenuta ancora più intollerabile.
Il D.Lgs. n.94/2017 di c.d. riordino, infatti, ha fra l’altro stabilito, nell’art.11, comma 7, che: “gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato, aumentati degli altri periodi giuridicamente computabili ai fini stipendiali ai sensi della normativa vigente …”.
Il che significa, in sostanza, che per il personale dirigente ed assimilato ancora in servizio sono stati definitivamente rimossi gli effetti del “blocco”, in quanto il trattamento stipendiale in godimento è stato rideterminato valorizzando anche gli anni 2011 -2015 e, quindi, riconoscendo gli incrementi “congelati” spettanti per ed in relazione al suddetto quinquennio, sia pure senza corresponsione di arretrati.
Ora, se questa disposizione è certamente commendevole, in quanto ha rimosso, per il personale ancora in servizio, i lesivi effetti derivanti dall’applicazione sinora data dell’art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010, essa, per un altro verso, ha esasperato “l’iniqua penalizzazione” del personale cessato dal servizio durante il “blocco”, che è rimasto a questo punto il solo ad averne subito e a doverne subire gli effetti pregiudizievoli, anche a fini previdenziali e pensionistici.
Sinora, né la disposizione in questione, né le altre di cui al comma 21 dell’art.9 del D.L. n.78/2010 hanno formato oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale per quanto concerne gli effetti che ne sono derivati rispetto al personale non contrattualizzato cessato dal servizio durante il quinquennio di “blocco” (v., per un riferimento senza seguito, Corte cost., 12.12.2013, n.304).
Investita della questione di illegittimità costituzionale dell’art.9, comma 21, secondo e terzo periodo, del d.l. n.78/2010, per violazione degli artt.2 e 3 Cost., sollevata in giudizio intentato, in corso di “blocco”, da personale militare in servizio, al fine di ottenere l’accertamento del diritto a percepire l’intero trattamento retributivo che sarebbe stato dovuto in relazione all’ordinaria “progressione automatica degli stipendi”, la Corte Costituzionale ha tuttavia già avuto modo di precisare, con sentenza n.154 del 4 giugno 2014, che la misura in questione è giustificata solo ed in ragione della sua “finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica” e, quindi, per il “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti”.
Se ne può e se ne deve dedurre, rispetto al personale cessato dal servizio nel quinquennio 2011-2015, che se si ritiene, come l’Amministrazione della Difesa ha sinora ritenuto e ritiene, che l’art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010 non si sia limitato a differire l’operatività degli incrementi stipendiali per classi e scatti spettanti, bensì l’abbia esclusa, alla disposizione non può più riconoscersi la portata di misura di raffreddamento della dinamica retributiva che le ha permesso di superare il vaglio di ragionevolezza, in quanto in tal caso essa palesemente viene a perdere quel “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti”, che le ha consentito di superare il vaglio costituzionale di ragionevolezza.
Nella sopra considerata eventualità, infatti, la “<cristallizzazione> del trattamento economico … per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica” diventa irragionevolmente definitiva e non per tutti, bensì solo per alcuni (precisamente per quanti sono cessati dal servizio durante il quinquennio di “blocco”), manifestando così anche evidenti profili discriminatori, resi ora, tra l’altro, ancora più manifesti e gravi dal fatto che, come sopra detto, per il personale dirigente ed equiparato ancora in servizio, e cioè per il personale “più giovane”, il già minore pregiudizio derivato dall’applicazione sinora operata dell’art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010 è stato interamente rimosso con il reinquadramento economico attuato in applicazione dell’art.11, comma 7, del D.Lgs. n.94/2017 di c.d. riordino, di tal che i “sacrifici richiesti” dalla norma di “blocco” gravano ormai, interamente, e in via definitiva, sul solo personale cessato dal servizio tra il 2011 ed il 2015.
Donde, l’evidente contrasto dell’art.9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n.78/2010, se interpretato come sopra riportato, con gli artt.2, 3, 36 e 38 della Costituzione.
A conforto di quanto sin qui detto e, quindi, a contrasto dell’applicazione sinora data della disposizione in esame, s’è del resto già specificamente rilevato in giurisprudenza che: “la ratio dell’art.9 va invero individuata nella mera esigenza – temporanea – di contenimento della spesa pubblica per il periodo in esame (blocco stipendiale); alla stessa non può attribuirsi l’effetto – definitivo – di limitare il quantum del trattamento pensionistico, peraltro in base a criteri di mera casualità, così rendendosi permanenti conseguenze pregiudizievoli che il legislatore aveva previsto solo per un dato periodo. La norma, invero, è stata considerata legittima solo in considerazione del carattere temporaneo e transeunte della stessa, e pertanto della limitazione temporale del sacrificio imposto” (cfr. Corte dei Conti Lazio, 09.10.2017, n.278).
Ed infatti, “il tenore della norma è inequivocabile nel limitare temporalmente la restrizione menzionata, con conseguente necessità di interpretarla nella più tenue veste di una sospensione temporanea delle progressioni di carriera, senza effetti economici sul trattamento previdenziale. Tale interpretazione si pone in perfetta sintonia con la sentenza della Corte costituzionale 17.12.2013, n.310, ove interventi di tale tipologia sono stati ritenuti ammissibili nei limiti del carattere <eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure … Da tali considerazioni discende la necessità di considerare irrilevante la cristallizzazione esposta ai fini previdenziali, determinandosi, in caso contrario, una protrazione ad infinitum del blocco retributivo in contrasto con le sopra esposte considerazioni” (cfr. Corte dei Conti Calabria, 20.09.2018, n.210).
La sola possibile interpretazione costituzionalmente conforme dell’art.9, comma 21, del d.l. n.78/2010 è, in altri termini, quella fatta propria nelle precitate sentenze, che la intende come norma di “sospensione temporanea delle progressioni di carriera, senza effetti economici sul trattamento previdenziale”, perché “non ha regolato (e non poteva regolare, n.d.r.) la posizione dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nel considerato periodo”.
Per far valere tale interpretazione, questo Studio legale ha adito le competenti Sezioni regionali della Corte dei conti, chiedendo il relativo accertamento a favore di quanti si sono ad esso rivolti, per contrastare la lesiva applicazione della suddetta disposizione sinora operata dall’Amministrazione della Difesa.
Studio legale Coronas