Sentenza n.178/2015 della Corte Costituzionale: punto di situazione.
Come noto, il decreto-legge n.78/2010, convertito dalla legge n.122/2010, ha sospeso “senza possibilità di recupero”, per il triennio 2010-2012, le procedure contrattuali e negoziali nel pubblico impiego e, nel contempo, ha “congelato”, per gli anni 2011, 2012 e 2013, il trattamento retributivo del personale pubblico, contrattualizzato e non (ivi compresi i dirigenti), ed il trattamento retributivo delle progressioni di carriera comunque denominate.
Con le sentenze n.304/2013, n.310/2013, n.154/2014 e n.129/2014, la Corte Costituzionale già aveva ritenuto infondati i rilievi di illegittimità costituzionale sollevati in relazione alla precitata normativa per violazione dell’art.36 Cost., quanto al “congelamento” del trattamento retributivo e di progressione di carriera, e per violazione dell’art.39 Cost., quanto alla sospensione delle procedure contrattuali e negoziali, e ciò perché: “Il carattere generale delle misure varate dal d.l. n. 78 del 2010, inserite in un disegno organico improntato a una dimensione programmatica, scandita su un periodo triennale, risponde all’esigenza di governare una voce rilevante della spesa pubblica, che aveva registrato una crescita incontrollata, sopravanzando l’incremento delle retribuzioni del settore privato. Sono dunque da disattendere le censure di violazione degli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost., in quanto il sacrificio del diritto alla retribuzione commisurata al lavoro svolto e del diritto di accedere alla contrattazione collettiva non è, nel quadro ora delineato, né irragionevole né sproporzionato” (Corte Cost. n.178/2015).
In seguito, investita dell’esame di analoghe censure di illegittimità costituzionale proposte nei confronti delle norme di proroga del “congelamento” del trattamento retributivo (fino al 31 dicembre 2014) e del blocco della contrattazione economica (fino al 31 dicembre 2015), la Corte Costituzionale ha pronunciato la sentenza n.178/2015, con la quale:
- ha ritenuto che “le censure formulate con riguardo all’estensione delle misure restrittive (dei trattamenti retributivi, n.d.r.) oltre i confini temporali originariamente tracciati non si dimostrano fondate, al pari di quelle che riguardavano le originarie disposizioni del d.l. n.78 del 2010”, perché “non risulta dimostrato l’irragionevole sacrificio del principio di proporzionalità della retribuzione”;
- ha giudicato fondate, invece, le questioni sollevate in relazione alla proroga del “regime di sospensione per la parte economica delle procedure contrattuali e negoziali in riferimento all’art.39, primo comma, Cost.”, in quanto determina un “protrarsi del blocco negoziale, così prolungato nel tempo da render evidente la violazione della libertà sindacale”.
Dunque, le “misure restrittive” sono state confermate legittime sotto il profilo della estensione temporale del congelamento delle retribuzioni, siccome riconducibile, nella durata originaria come in quella prorogata, ad un “disegno organico” di contenimento della spesa pubblica “né irragionevole né sproporzionato”.
Al contrario, è stata considerata illegittima l’ulteriore sospensione dell’autonomia negoziale, perché “il carattere ormai sistematico di tale sospensione sconfina … in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale (art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti normativi e da controlli contabili penetranti …, ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria (art. 81, primo comma,Cost.)”.
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Diversamente dal consueto, le norme di proroga “del regime di sospensione della contrattazione collettiva” sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale “a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione” della sentenza n.178/2015.
Dunque, non s’è voluto far retroagire l’effetto caducatorio della pronuncia fino al momento di entrata in vigore della normativa annullata (1° gennaio 2013), bensì “i limiti che si frappongono allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica” sono stati “rimossi per il futuro”, mentre, “per il periodo già trascorso”, è stato espressamente affermato che restano “impregiudicati … gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata”.
L’intento è stato, verosimilmente, quello di evitare il rischio, che “eventuali pretese risarcitorie o indennitarie” – già dichiarate infondate come “corollario” della ritenuta infondatezza delle censure di incostituzionalità incentrate sulla violazione del principio di proporzionalità della retribuzione – potessero poi essere fatte valere come “corollario” della ritenuta fondatezza invece delle censure di incostituzionalità incentrate sulla violazione della libertà sindacale.
Infatti, posto che, come la stessa Corte ricorda, “la libertà sindacale è tutelata dall’art.39, primo comma, Cost., nella sua duplice valenza individuale e collettiva, ed ha il suo necessario complemento nell’autonomia negoziale” – che attraverso “il contratto collettivo contempera in maniera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti e concorre a dare concreta attuazione al principio di proporzionalità della retribuzione” –, non sarebbe fuori luogo sostenere che, poiché un blocco illegittimo dell’autonomia negoziale preclude illegittimamente l’attuazione del principio di proporzionalità della retribuzione, la caducazione del blocco consenta, a quanti sono stati lesi dalla irragionevole/ingiusta compressione della libertà sindacale, di agire in giudizio per ottenere la riparazione del pregiudizio subito.
Ebbene, dichiarando “impregiudicati, per il periodo già trascorso, gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata”, la Corte sembra appunto aver inteso sbarrare la strada ad eventuali azioni risarcitorie o indennitarie, conseguenti alla operata declaratoria di illegittimità della proroga del blocco della contrattazione.
In disparte, in questa sede, qualunque commento sulla soluzione adottata dalla sentenza n.178/2015, il contenuto e la portata dispositiva della pronuncia sono un dato con il quale occorre confrontarsi.
Il che, ad avviso di chi scrive, significa prendere atto che, oltre che in relazione all’iniziale triennio di sospensione delle procedure negoziali (2010-2012), anche in relazione a quello di successiva proroga (2013-2015), non pare residuare spazio, almeno in ambito nazionale, per eventuali azioni risarcitorie o indennitarie.
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Detto quanto sopra “per il periodo già trascorso”, si rileva, quanto al “presente”, che gli scorsi mesi di giugno e di luglio hanno visto finalmente la convocazione dei tavoli preliminari per i rinnovi contrattuali 2016-2018.
L’effetto di sblocco delle procedure negoziali derivante dall’intervento della Corte Costituzionale ha quindi cominciato a prodursi, sebbene con un ritardo che la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare e di stigmatizzare, sottolineando come “l’inerzia della pubblica amministrazione potrebbe vanificare, e anzi eludere, la rimozione della causa di sospensione della contrattazione collettiva compiuta per effetto della sentenza 178/2015” (v. Tribunale di Roma, Sezione III Lavoro, 16.09.2015, n.7552). .
Finché la “partita” dei rinnovi è aperta, comunque, appare prematuro, sempre a giudizio di chi scrive, pensare di dare avvio ad iniziative giudiziali volte a far valere pretese risarcitorie o indennitarie per la parte già trascorsa del triennio 2016-2018 e per quella che ancora trascorrerà prima della chiusura della tornata negoziale.
Alle già non lievi difficoltà di impostare azioni del genere, infatti, è prudente non aggiungere anche il rischio di agire per lamentare un pregiudizio, che l’accordo che scaturirà dal dispiegarsi della “dialettica contrattuale”, già solo per il fatto di essere stato raggiunto, potrebbe svuotare di qualunque fondatezza.
Studio legale Coronas